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Greenwashing: una pratica scorretta e potenzialmente dannosa per il brand

Greenwashing: una pratica scorretta e potenzialmente dannosa per il brand
  • PublishedSettembre 9, 2024

La sostenibilità è diventata sempre più importante per i marchi, ma fare una strategia di marketing con un’impronta green richiede attenzione e cura di ogni aspetto, integrando al meglio le pratiche sostenibili in ogni area della propria attività. Il rischio, infatti, è quello di cadere nel “greenwashing”, attività dannosa per il brand che può portare a perdere la propria reputazione e il posizionamento sul mercato.

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Il greenwashing, infatti, anche se può essere vantaggioso su breve periodo, è una pratica scorretta che vede l’abuso di affermazioni a favore della sostenibilità ambientale che però sono fuorvianti oppure ingannevoli.

Ma vediamo nel dettaglio cos’è il greenwashing e perché è una pratica dannosa, e anche come si sta muovendo attualmente l’Unione Europea per “punire” coloro che attuano questa pratica, cercando al contempo invece di promuovere le reali pratiche sostenibili, in un’ottica che vuole proteggere al meglio i consumatori, evitando che possano essere fuorviati da pubblicità e dichiarazioni ingannevoli.

Cos’è il greenwashing?

Il greenwashing è una pratica attraverso la quale un’azienda presenta un’immagine di sé ingannevolmente più “verde” o più sostenibile di quanto non sia in realtà.

Si tratta di una strategia di marketing che cerca di capitalizzare sulla crescente domanda di prodotti ecologici senza apportare dei cambiamenti reali nei processi di produzione, nelle politiche aziendali oppure nel packaging dei prodotti.

In pratica, le aziende che fanno greenwashing utilizzano affermazioni o etichette fuorvianti per far credere ai consumatori che i loro prodotti o servizi abbiano un impatto ambientale positivo o siano rispettosi dell’ambiente, quando in realtà tali affermazioni non sono supportate da prove concrete.

Frasi come “naturale”, “eco-friendly”, “biodegradabile” e “sostenibile” sono spesso utilizzate solo in modo generico e senza alcuna certificazione o reale attenzione dietro queste affermazioni. Quindi in questo caso le aziende inducono i consumatori semplicemente a pensare che i prodotti siano rispettosi dell’ambiente o più green, quando in realtà non lo sono.

Questa pratica però mira a ingannare i consumatori al fine di aumentare le vendite di un determinato prodotto o servizio, cercando a volte anche di giustificare a fronte di questa pubblicità ingannevole, l’applicazione di un prezzo più alto.

Quanti praticano il greenwashing?

Il greenwashing è più diffuso di quanto si possa pensare, e coinvolge marchi noti e meno noti di diversi settori, dalla moda alla cosmetica, fino all’alimentare e all’industria tecnologica.

Una ricerca che è stata condotta da parte della Commissione Europea nel 2021 ha rivelato come in Europa oltre il 42% delle affermazioni ambientali che sono state fatte dalle aziende risultavano: false, esagerate o fuorvianti.

In particolar modo, questo si è evidenziato nell’uso delle etichette “green” che però non erano poi supportate da documentazioni o certificazioni ufficiali, rendendo al contempo complesso per i consumatori riuscire a verificare che i prodotti fossero realmente sostenibili.

Questa situazione si è tradotta in una perdita di fiducia da parte dei consumatori che attualmente sono molto più attenti alla veridicità delle informazioni, al fine di comprendere se realmente ciò che stanno acquistando sia green e sostenibile.

Le azioni dell’UE contro il greenwashing

L’Unione Europea ha riconosciuto l’importanza di proteggere i consumatori da affermazioni ambientali ingannevoli, e negli ultimi anni ha implementato una serie di misure volte a limitare il fenomeno del greenwashing.

Nel marzo del 2022, la Commissione Europea ha proposto un aggiornamento delle normative a tutela dei consumatori, mirato a vietare affermazioni ambientali generiche senza fondamento e a promuovere maggiore trasparenza.

Tra le azioni più significative adottate dall’UE troviamo:

  • Proibizione delle dichiarazioni generiche: le aziende non potranno più utilizzare termini come “eco-friendly” o “naturale” senza fornire prove verificabili. Ogni affermazione dovrà essere accompagnata da certificazioni riconosciute che ne attestino la veridicità.
  • Stop alle affermazioni di neutralità climatica: l’UE ha deciso di vietare l’uso di dichiarazioni che affermano che un prodotto ha un impatto ambientale neutro, ridotto o positivo solo in virtù della compensazione delle emissioni di carbonio. Queste affermazioni, infatti, possono essere facilmente manipolate.
  • Verifica delle etichette di sostenibilità: saranno eliminate le etichette di sostenibilità che non sono basate su schemi di certificazione ufficiali o che non sono riconosciute da autorità pubbliche. L’obiettivo è garantire che i consumatori possano fidarsi delle informazioni presenti sui prodotti.

L’Unione Europea sta anche lavorando per garantire che i consumatori ricevano informazioni chiare e dettagliate sulla durabilità dei prodotti. In questo modo, i consumatori sapranno quanto a lungo un prodotto durerà e se sarà riparabile, incentivando scelte di acquisto più consapevoli e sostenibili.

Una pratica che provoca danni all’immagine aziendale

Il greenwashing, in definitiva, è una pratica che può provocare dei gravi danni alla reputazione di un’azienda, andando a generare un senso di sfiducia nei consumatori e che attualmente può avere anche delle ripercussioni legali. Ecco perché bisogna impegnarsi in campagne di green marketing e azioni di cambiamento verso un futuro più sostenibile a livello aziendale, evitando il greenwashing e tutte quelle pratiche che possono minare il legame di fiducia con i consumatori.

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