Intervista di Federico Sordini, “La sostenibilità è alla base della creazione di Elbec”

Carlo de Nigris

Oggi in questa intervista abbiamo il piacere di parlare con Federico, fondatore di Elbec, un’azienda nata nel cuore della Val Pettorina nel 2015, con l’obiettivo di produrre abbigliamento in lana di alta qualità, con un forte legame al territorio e alla sostenibilità.

Federico ci racconta l’ispirazione che lo ha portato alla nascita di Elbec, le sfide incontrate nel contesto montano. Scopriremo nel suo racconto anche come l’azienda sia riuscita a crescere, nonostante le difficoltà logistiche, e quale impatto abbia avuto l’attenzione alla qualità artigianale e al rispetto per l’ambiente nella creazione dei suoi prodotti.

Seguiteci in questa interessante intervista!

Federico, cosa ti ha ispirato a fondare Elbec nel 2015 e a sviluppare un’azienda in Val Pettorina?

«Elbec nasce in un contesto più complesso in cui avremmo voluto integrare un progetto di prodotti di abbigliamento in lana ad altre attività di tipo agro-pastorale strettamente connesse con il territorio. Purtroppo ciò non è stato possibile a causa di una serie di difficoltà collegate con la realtà fondiaria delle comunità montane dove è estremamente complesso provare ad accorpare i terreni oramai estremamente parcellizzati. Non riuscendo quindi ad avere i nostri animali ed i nostri terreni abbiamo iniziato l’attività acquistando lane che avessero requisiti particolari: altissima qualità, certificazioni ambientali che attestassero la provenienza della lana, il no-mulesing, in alcuni casi anche protocolli di attenzione ambientale particolarmente esigenti».

Quali sono state le maggiori sfide che hai affrontato nel portare avanti un’attività imprenditoriale in montagna?

«Sicuramente per noi le Dolomiti sono state un trampolino di lancio e le moderne tecnologie ci hanno consentito di iniziare un’attività che altrimenti sarebbe stata impossibile. Sicuramente la difficoltà di accesso ci ha penalizzato dal punto di vista logistico ma adesso che siamo più strutturati abbiamo ovviato a questo problema con due magazzini uno nel Nord ed uno nel Centro Italia. Questi due magazzini ci consentono di consegnare la merce nelle 24/48. Un fattore importante per soddisfare clienti sempre più esigenti “viziati” dagli standard di Amazon».

Quanto è stato importante per te il concetto di sostenibilità nella creazione dei prodotti Elbec?

«La sostenibilità è alla base stessa della creazione di ELBEC. Dopo anni passati ad occuparmi di sviluppo sostenibile sarebbe stato impossibile concepire un’azienda che non tenesse conto delle esperienze maturate nella mia precedente vita professionale». 

Quali vantaggi e difficoltà hai riscontrato nell’avviare un’attività legata alla manifattura in una zona a vocazione turistica come la Val Pettorina?

«Il nostro progetto di Manifattura Diffusa si adatta perfettamente ad una valle a vocazione turistica dove la gente è abituata a lavorare sei mesi all’anno. Molte delle donne che collaborano con noi infatti interrompono durante il periodo turistico poiché noi non richiediamo un impegno continuo bensì saltuario, in base alle esigenze ed alle possibilità di ognuno. Il lavoro inoltre viene effettuato da casa e molte persone riescono a svolgerlo quasi come un passatempo nei momenti di inattività». 

In un contesto montano, quali sono i principali ostacoli che un imprenditore deve superare rispetto a un contesto urbano?

«Non credo che si possa fare un confronto tra contesto “montano” e urbano si dovrebbe piuttosto comparare il contesto “rurale” a quello urbano. Il contesto rurale è sempre caratterizzato da una particolare chiusura delle persone autoctone nei confronti di tutto ciò che è nuovo e viene da “fuori”. Per rispondere alla domanda mi verrebbe da dire che il principale ostacolo è la “diffidenza”»

In che modo l’attenzione alla qualità artigianale e alla manifattura diffusa ha contribuito al successo di Elbec?

«Direi in maniera determinante. Basta leggere le recensioni dei nostri prodotti per rendersi conto che è la qualità ciò che maggiormente ha colpito i clienti. La Manifattura Diffusa, di cui siamo particolarmente orgogliosi per le sue caratteristiche di sostenibilità intrinseche nel progetto, sicuramente ha incuriosito alcuni clienti più attenti a questo tema, ma l’elemento determinante è la qualità delle materie prime e del confezionamento dei prodotti».

Qual è il tuo punto di vista sulla convivenza tra attività imprenditoriali non turistiche e il turismo di massa nelle aree di montagna?

«Nonostante la nostra valle sia a vocazione turistica e sia nel cuore delle Dolomiti per nostra fortuna resta una località ancora un po’ fuori dai  circuiti classici blasonati. Ciò non deriva da una scelta ponderata ma dall’incapacità dei vari operatori a cooperare l’uno con l’altro. Il grosso problema del vivere in una località turistica è che per le amministrazioni a livello locale, regionale e persino europeo esistono solamente le attività turistiche per cui vengono stanziati bandi di ogni tipo con scadenze frequenti e regolari solo per quelle attività. Per tutte le altre attività non è previsto nessun tipo di aiuto».

Secondo te, come possono le comunità di montagna sviluppare un’economia diversificata che non dipenda esclusivamente dal turismo?

«Basterebbe convogliare parte degli ingenti aiuti economici che vengono stanziati per le attività ricettive e per gli impianti da sci sulle altre attività. Gli amministratori dovrebbero comprendere che il turismo, specie quello di massa che al momento è l’unico modello di turismo che consideriamo economicamente “sostenibile”, tende ad uccidere il territorio trasformandolo in un parco giochi che viene acceso durante il periodo festivo e spento subito dopo. Le attività economiche che si rivolgono ai cittadini, i servizi ed in genere tutte le attività che si diversificano da quelle prettamente turistiche sono essenziali per la sopravvivenza di un luogo, dei suoi abitanti e delle sue specificità».

Hai parlato di come la mancanza di servizi renda difficile la vita in montagna. Quali sono i servizi essenziali che, a tuo avviso, dovrebbero essere potenziati?

«Nelle Dolomiti i servizi veramente carenti sono i trasporti pubblici, che obbligano ad un uso smodato dei mezzi privati, l’educazione con un offerta limitatissima e la sanità come purtroppo oramai in gran parte del paese».

Come vedi il futuro delle terre alte? Cosa ti dà speranza per uno sviluppo sostenibile delle aree montane?

«Personalmente sono sicuro che il cambiamento climatico unito a una situazione sociale più tesa costringerà sempre più persone ad abbandonare le grandi città in cerca di maggiore comfort e maggiore sicurezza. In questo scenario l’aumento di popolazione risolvere la maggior parte delle criticità delle terre alte che sono principalmente  legate allo spopolamento. Resta da vedere se lo sviluppo avverrà in modo sostenibile oppure no ma a giudicare dalla situazione geopolitica mondiale direi che la sostenibilità al momento non sia una priorità se non come slogan».

Quali sono gli aspetti positivi e negativi del “mountain divide” che hai notato nella tua esperienza imprenditoriale?

«Visto che la mia realtà imprenditoriale è di tipo individuale mi sento di rispondere a questa domanda in prima persona. Io non sono nato in montagna ma mi ci sono trasferito, non è stata un obbligo ma una scelta. ELBEC nasce in montagna perché non sarebbe potuto nascere altrove ma soprattutto perché di questa montagna ne condivide i valori gli usi e i costumi. Nonostante la mia origine cittadina ho sempre nutrito grande rispetto per la gente un po’ burbera di queste valli ma soprattutto mi sono sempre sentito vicino a loro condividendo la loro diffidenza nei confronti del genere umano. In conclusione direi che nel mio caso, questo isolamento, è solo fonte di grande benessere».

Credi che l’attenzione per il cambiamento climatico possa aiutare a sviluppare nuovi modelli di business sostenibili in montagna?

«Al momento l’attenzione al cambiamento climatico è puramente propagandistica per cercare di obbligare il consumatore a compiere determinate scelte prese a monte, indipendentemente dalla loro sostenibilità. Dopo la tempesta di Vaia avremmo avuto la possibilità di risistemare la valle cercando di mettere in sicurezza l’alveo dei fiumi. Ciò non è avvenuto nonostante la necessità di ripensare alla messa in sicurezza a seguito dei comprovati nuovi standard climatici. I lavori nella nostra valle sono stati realizzati male con l’unico obiettivo di spendere il più possibile». 

Quali sono i prossimi obiettivi per Elbec e come intendi continuare a contribuire alla valorizzazione del territorio montano?

«A noi piacerebbe riuscire a realizzare il progetto originario di ELBEC che prevedeva di portare anche gli animali che forniscono la lana nella valle dove tutto è iniziato, la Val Pettorina, o quantomeno nell’Alto Agordino. Ciò ci permetterebbe di accorpare tutte le lavorazioni che vanno dall’allevamento degli animali che forniscono la materia prima, alle trasformazioni in filato, sino al confezionamento. Sicuramente la strada è ancora lunga e le difficoltà da superare non indifferenti, a meno che non cambi il vento e il vento si sa, fa sempre il suo giro».

 

Autore

Potrebbero interessarti anche