Filippo Poletti, nato nel 1970, è un giornalista professionista, musicologo e una delle voci più autorevoli su LinkedIn. Dopo essersi laureato in musicologia e aver frequentato il Conservatorio di Milano, ha ampliato le sue competenze diventando sound engineer e conseguendo un executive MBA.
Autore prolifico, Poletti ha pubblicato diversi libri, tra i suoi lavori più noti figurano “Smart Leadership Canvas” e “L’arte dell’ascolto: musica al lavoro”.
Oggi in questa intervista scopriamo un po’ di più su Filippo Poletti, sulla sua passione per la musica ma soprattutto ascoltiamo i suoi consigli per avere successo su LinkedIn!
Ciao Filippo, grazie per essere qui con noi. Puoi raccontarci qualcosa di te e di come è nata la tua passione per la musica?
«È nata alle scuole elementari. Io avevo una maestra che suonava la chitarra. Ebbene, ho voluto seguire lei. Pensate un po’, questa chitarra, la Eco, era più grande di me. Però io ci ho provato e poi ho studiato, ho studiato musica. Che cosa mi ha insegnato la musica? La musica mi ha insegnato il metodo, la disciplina. Insomma, i musicisti sono dei grandi disciplinati, le mani, pensa alla chitarra, i chitarristi, non vanno da sole, bisogna esercitarle. E poi la pratica della musica mi ha insegnato, pensate un po’ che il dizionario è sbagliato. Si è sbagliato, perché nel dizionario c’è prima la parola sudore, di successo. Ma non funziona in musica. Perché nella musica prima c’è il sudore e poi il successo».
Sei attualmente il giornalista più seguito su LinkedIn! Come sei riuscito a raggiungere questo traguardo e a cosa attribuisci il tuo successo?
«Era il 5 maggio del 2017, allora su LinkedIn postai una storia, una storia positiva, una storia positiva dalla provincia di Catania. Sì, parlava di come nella provincia di Catania si facevano delle cose importanti per altre persone. E così ebbi, pensate un po’ ben 25 like. Mi dissi: Wow, sono come Alessandro Manzoni, ho 25 lettori. E allora il giorno dopo ho fatto il bis. E giorno dopo giorno ho raccontato la positività del lavoro. Possiamo e dobbiamo scegliere se essere dalla parte delle storie positive o dalla parte delle storie negative. Io l’ho fatto scegliendo la positività».
Qual è, secondo te, il segreto per raccontarsi su LinkedIn in modo efficace, coinvolgendo il pubblico senza perdere autenticità?
«Il segreto è mettere al centro le persone, sì. E poi ricordarsi di tre importanti aspetti. Il primo aspetto: abbiamo d’orecchi, allora dobbiamo ascoltare, prima di parlare, prima di scrivere. La seconda cosa è ricordarsi che per avere attenzione dobbiamo dare attenzione agli altri. E la terza cosa importantissima, come la chiamo io, la Tadalì, sì, anziché la to-do list, teniamo nota della Tadalì, sì, dei nostri successi. Giorno dopo giorno impariamo da ciò che stiamo facendo».
Approfondendo l’argomento, quali sono le principali sfide per chi comunica oggi su piattaforme digitali come LinkedIn?
«La sfida è una: raccontarsi come professionisti. Professionista è una parola che deriva dal latino professare, raccontarsi. Il professionista è colui che fa e fa sapere e deve farlo in modo professionale. Cari amici, LinkedIn non è Facebook. Bisogna raccontarsi in modo professionale. E poi un altro piccolo suggerimento, anzi grande: ricordatevi che “content is the king”, il contenuto è il Re, è tutto. Allora su LinkedIn condividiamo solo contenuti di valore.»
Puoi raccontarci del tuo libro “Smart Leadership Canvas” e, considerando l’attualità del tema, quali pensi siano le caratteristiche fondamentali di un leader nell’era dell’intelligenza artificiale?
«Siamo entrati ufficialmente nella IA Scene, come la chiamo io, l’epoca dell’intelligenza artificiale che collabora con l’intelligenza umana, l’intelligenza naturale. Cosa devono fare oggi i leader? Devono essere leader di cuore e di cervello. Il cuore che cosa serve? Ad avere attenzione alle persone, ai lavoratori. Il cervello serve ad essere molto, molto attenti al business. È un’altra cosa importantissima. Oggi il racconto dell’intelligenza artificiale è molto più avanti della realtà. Siamo veramente in un’epoca straordinaria, la IA Scene dove possiamo giocare un ruolo da protagonisti».
Nel tuo ultimo libro “L’arte dell’ascolto: musica al lavoro” hai raccolto numerose interviste a personalità che hanno segnato la storia della nostra epoca, esplorando il loro rapporto con la musica. Cosa ci insegnano i grandi italiani sull’ascolto musicale?
«I grandi italiani sono dei grandi curiosi musicali, sono degli esploratori, un popolo di esploratori musicalmente parlando. E sì, Armani, Verdone, Mike Buongiorno, Dulbecco, Montalcini, grandi appassionati. E poi cosa gli accomuna? Il fatto di non voler negoziare il bilanciamento tra musica e vita. Io parlo al posto di work-life balance, di music-life balance, di bilanciamento tra la musica e la vita. è questo che mi hanno insegnato questi grandi personaggi. Pensate Mike Buongiorno era appassionatissimo di Vivaldi, lo incontrai e gli chiesi: Perché ti piace Vivaldi? Lui mi disse: mi piace di Vivaldi tutto quello scritto di allegri, i movimenti allegri, perché mi mettono Allegria».