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Cosa potrebbe succedere in caso di sentenza a Google per pratiche monopolistiche?

Cosa potrebbe succedere in caso di sentenza a Google per pratiche monopolistiche?
  • PublishedAgosto 12, 2024

Una recente sentenza di un giudice statunitense ha accusato Google di monopolizzare illegalmente sia la ricerca online sia la pubblicità correlata. Questa sentenza potrebbe rappresentare un punto di svolta non solo per Google, ma per l’intero settore tecnologico, con conseguenze che potrebbero impattare profondamente su aziende, consumatori e il panorama digitale globale.

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Ma vediamo quali sono secondo gli esperti le eventuali ripercussioni che si potrebbero affrontare nell’ambito dell’advertising e del marketing digitale.

Un lungo processo legale

Dopo quattro anni di indagini e procedure legali, il caso ha finalmente raggiunto un verdetto iniziale, ma è tutt’altro che concluso. Alphabet, la società madre di Google, ha già annunciato l’intenzione di ricorrere in appello, il che significa che questo processo potrebbe protrarsi ancora per anni. Nonostante ciò, il dibattito sulle potenziali conseguenze della sentenza è già iniziato, con possibili scenari che spaziano da sanzioni pecuniarie a interventi più radicali, come la richiesta di spezzare Google in entità più piccole.

Possibili conseguenze: multa o smembramento?

Una delle opzioni più drastiche che il governo degli Stati Uniti potrebbe prendere in considerazione è il cosiddetto “sollievo strutturale“, ovvero la suddivisione di Google in più aziende indipendenti.

Questa ipotesi non è stata esclusa dalle autorità e rappresenta una sorta di “opzione nucleare”. Google, infatti, non è solo un motore di ricerca; include anche servizi come Android, il sistema operativo che alimenta la maggior parte degli smartphone nel mondo, e YouTube, la piattaforma video di proprietà di Google che genera miliardi di dollari di entrate ogni anno.

L’idea di scorporare il motore di ricerca di Google dalle altre sue attività potrebbe creare scompiglio ai vertici di Alphabet, ma l’impatto immediato per il consumatore medio potrebbe essere limitato, almeno finché Google rimane il motore di ricerca predefinito sui dispositivi più utilizzati.

Tuttavia, qualsiasi mossa di questo genere incontrerebbe sicuramente una forte resistenza legale e richiederebbe anni di battaglie nei tribunali.

Il problema dei pagamenti per la preimpostazione

Un altro punto cruciale della sentenza riguarda la pratica di Google di pagare altre aziende, come Apple, per impostare Google come motore di ricerca predefinito sui loro dispositivi. Questa pratica è stata considerata anticoncorrenziale dal giudice, poiché impedisce ad altre aziende di sviluppare e promuovere i propri motori di ricerca.

Se Google venisse costretto a interrompere questi pagamenti, potrebbe aprirsi uno spazio per la nascita di nuovi concorrenti. Tuttavia, questo scenario presenta delle complicazioni: l’enorme riconoscibilità del marchio Google rende difficile immaginare che i consumatori abbandonino in massa il motore di ricerca che conoscono e di cui si fidano da anni.

Inoltre, Apple potrebbe non essere incentivata a sviluppare un proprio motore di ricerca, preferendo continuare a incassare i miliardi che Google paga ogni anno per mantenere il suo status di motore di ricerca predefinito.

Pop-up con possibilità di scelta per l’utente

Una soluzione più facilmente implementabile potrebbe essere l’introduzione di un pop-up che dia la possibilità di scelta d’uso del motore di ricerca sui dispositivi, simile a quella che l’Unione Europea ha già imposto con il Digital Markets Act.

Questa schermata darebbe agli utenti la possibilità di scegliere il proprio motore di ricerca preferito al primo utilizzo del dispositivo, piuttosto che essere automaticamente indirizzati verso Google.

Tuttavia, anche questa misura potrebbe non essere sufficiente a scardinare il dominio di Google, che ha radicato il suo marchio nel vocabolario quotidiano delle persone al punto da farlo diventare sinonimo di “ricerca online“.

Rivali come Bing di Microsoft, nonostante gli sforzi per guadagnare terreno, non sono ancora riusciti a scalzare Google dalla sua posizione dominante.

Il paragone con il caso Microsoft

Il caso Google presenta molte analogie con il processo che Microsoft ha affrontato alla fine degli anni ’90, quando fu accusata di creare un monopolio con il suo sistema operativo Windows.

All’epoca, un giudice statunitense ordinò la divisione di Microsoft, ma dopo anni di ricorsi e trattative, la decisione fu annullata e Microsoft evitò lo smembramento, raggiungendo un accordo con il Dipartimento di Giustizia.

Questo precedente suggerisce che, anche se la sentenza contro Google potrebbe aprire la strada a cambiamenti significativi, questi non si verificheranno in tempi brevi. Le battaglie legali e i negoziati potrebbero protrarsi per anni, con esiti ancora incerti.

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