In un mondo in continua evoluzione come quello del digital marketing, adattarsi ai cambiamenti è essenziale per emergere e distinguersi. Oggi abbiamo il piacere di intervistare Riccardo, un professionista che ha saputo fare della sua passione una carriera di successo, partendo da una formazione in semiotica e approdando alla creazione di progetti innovativi. La sua esperienza spazia dalla SEO all’affiliazione, dalla consulenza aziendale nell’ambito del digital marketing.
In questa intervista, Riccardo ci racconta come la sua formazione ha influenzato il suo percorso professionale, cosa significa lanciare e gestire una start-up, e come continua a mantenersi aggiornato in un settore in rapida evoluzione. Buona lettura!
1. Ciao Riccardo! Grazie per averci concesso questa intervista, siamo molto felici di ospitarti e scoprire di più su di te e sulle tue attività. La prima cosa che vorrei sapere è come mai hai scelto di specializzarti nel campo del digital marketing dopo la laurea in semiotica? E come il tuo percorso di studi ti ha aiutato a lavorare meglio in questo settore?
«Ciao! Grazie a voi per l’invito. La scelta di specializzarmi nel digital marketing dopo la laurea in semiotica – come è comune in quel periodo di spaesamento post laurea – è stata una combinazione piuttosto fortuita. Cominciai con un esame di quelli opzionali, che non fanno nemmeno parte del piano di studi ordinario, ad avvicinarmi al mondo della SEO: scoprii una fertile connessione tra le competenze acquisite durante gli studi e l’interpretazione degli intenti di ricerca, uno dei fondamentali dell’ottimizzazione per motori come Google.
A quel tempo, da spiantato studente universitario, volevo guadagnare qualcosina con il mio primo blog che si occupava di vino, ma non capivo perché i miei articoli non venivano visualizzati, da lì la SEO e l’affiliazione. Ricordo ancora l’innesco: un furbacchione mi chiese di inserire un link verso il suo sito in cambio di una condivisione di un mio articolo sulla sua pagina Facebook, solo a posteriori ho compreso che si trattava di link building grazie al libro di Ivano De Biasi, che mi aprì gli occhi su quella disciplina bellissima che è la SEO.
Ma torno alla tua domanda: la semiotica è spesso definita come “la scienza che studia i segni e i simboli”, il modo in cui vengono creati, trasmessi e interpretati; ovvero come comunichiamo e diamo significato a ciò che ci circonda o – secondo una fortunata sintesi di Umberto Eco – “studia tutto ciò che può essere usato per mentire”. È già evidente la connessione con il digital marketing?
Scherzi a parte, la forma mentis derivante da questa tipologia di studi è fondamentale nel digital marketing, una sorta di acceleratore che ti agevola nel comprenderne i meccanismi, ma che allo stesso tempo ti fornisce un punto di vista terzo rispetto a fenomeni che sono per molti puramente tecnici. Il digital marketing ha poi davvero molto a che fare con la comunicazione: ogni messaggio deve essere costruito tenendo conto del contesto e delle percezioni del pubblico. La mia formazione in semiotica mi ha aiutato a capire come creare e adattare i messaggi e le campagne per avere un impatto reale – e spesso misurabile – non perdendo mai di vista le persone come destinatarie dei nostri messaggi; ben al di là (o meglio “al di qua”), dei tecnicismi, degli algoritmi e del colore di una Call To Action».
2. Ci puoi parlare di come è nata Re-Create? Qual è il servizio che ti viene più richiesto e come sei riuscito con quest’attività a distinguersi su un mercato del web che è sempre più ricco di competitor?
«Mio fratello si occupa da oltre 15 anni di Web Design e al tempo aveva bisogno di qualcuno che scrivesse dei testi per i suoi primi siti web: è nato tutto da lì. Da quel momento in poi l’evoluzione è stata frenetica: ho deciso di avere un approccio radicalmente diverso da quello che adottavano le agenzie con le quali collaboravo al tempo: volevo avere il diritto e il potere di comunicare sempre onestamente con il cliente; di non mettere in risalto solo i risultati positivi, ma di evidenziare le frizioni come opportunità di miglioramento. Questa onestà spesso “brutale” ha sempre portato i suoi frutti: pur lavorando nel digital marketing non ho mai dovuto promuovermi (nell’accezione comune del termine), né svolgere attività commerciale diretta. È stato come un albero che cresceva spontaneamente».
3. Hai anche una tua start-up “Menù digitale”! Un progetto davvero molto interessante, posso chiederti di parlarcene in modo più approfondito, com’è nata l’idea e quali sono i riscontri che stai ottenendo attualmente?
«Curare i progetti dei clienti con i quali si stabilisce un rapporto di fiducia è sicuramente stimolante, la consulenza ti dà la possibilità di imparare e testare in settori diversi e maturare una consapevolezza che il cammino in azienda spesso non riesce a equiparare. Tuttavia ideare un prodotto, in questo caso un SaaS, e promuoverlo, mi ha permesso di affrontare sfide del tutto nuove. Ho commesso sbagli che non credevo possibili, mi son misurato con complessità che non pensavo mi appartenessero e ho capito cosa significa affrontare un progetto anche dal punto di vista imprenditoriale. Sono davvero molto contento di questa esperienza, che ad oggi è qualcosa di più di un semplice “esperimento” e conta oltre 15mila attività del settore Ho.Re.Ca registrate».
4. In qualità di insegnante, invece, attualmente ti occupi dell’Executive Master in Digital Marketing & E-commerce Management? Secondo te, quanto è importante la formazione in questo campo e come si dovrebbe integrare al meglio con le attività “sul campo”. Inoltre, in termini di formazione, in Italia le aziende investono poco soprattutto nel campo digitale e della comunicazione. Secondo te, quali miglioramenti aziendali si potrebbero ottenere se i dipendenti fossero formati di più e meglio in questo settore?
«In passato ho collaborato con diversi enti formativi privati e attualmente mi occupo dell’Executive Master in Digital Marketing & E-commerce Management in GEMA business school: una bella realtà in Italia. Come spesso accade a chi proviene da una formazione umanistica, la carriera dell’insegnamento è una delle opzioni più naturali. Io, invece, sono uscito dalla porta e rientrato dalla finestra, trovando nell’insegnamento una nuova dimensione professionale e personale, soprattutto in un campo in costante evoluzione come il digital marketing e l’e-commerce. La formazione in questo settore non è solo importante, è vitale. Il cambiamento è l’unica costante, e rimanere aggiornati significa non solo stare al passo, ma anche plasmare il futuro del proprio lavoro. Insegnare quello che si è imparato attraverso studio ed esperienza è un’occasione per affinare ciò che già si sa e scoprire ciò che ancora si deve padroneggiare pienamente. Sembra che Einstein dicesse “Non hai veramente capito qualcosa finché non sei in grado di spiegarla a tua nonna”, non so se la citazione è falsamente ma la trovo estremamente calzante quando si parla di formazione e insegnamento.
Tuttavia, in azienda, spesso si presume che ci si formi autonomamente, senza offrire spazi e tempi adeguati per farlo. Schiacciati dalla routine operativa, molti professionisti vedono impoverirsi le loro competenze e, con il tempo, anche la qualità del loro lavoro.
Ancora oggi continuo a investire di tasca mia in formazione, partecipando a sessioni private con esperti che stimo, e ogni volta il ritorno è stato incommensurabile. Per quanto riguarda il contesto italiano, c’è un problema culturale: molte aziende non vedono la formazione come un investimento, ma come un costo. Questo approccio porta a perdere opportunità di innovazione e di crescita. Nel digitale, dove le cose si muovono alla velocità della luce, non investire nella formazione significa condannarsi a una costante rincorsa, con il rischio di restare indietro, ed è forse per questo che tale problematica è meno diffusa (almeno spero!) .
Le aziende che capiscono l’importanza di dedicare spazi alla formazione del team possono ottenere vantaggi competitivi significativi. Al contrario, l’assenza di formazione strutturata porta inevitabilmente a un deterioramento delle performance aziendali. Certo, la predisposizione ad apprendere deve esserci, ma è una qualità che spesso emerge quando si creano le giuste condizioni per farla fiorire. E queste condizioni devono essere coltivate, sia a livello individuale che aziendale».
Il digital marketing è un campo in continua evoluzione. Come ti tieni aggiornato sulle ultime tendenze e tecnologie? Ci sono risorse o strumenti che consideri indispensabili? Inoltre, tra i vari canali su cui lavori, c’è uno che preferisci o che ritieni più efficace per raggiungere obiettivi specifici? Se sì, perché?
«Come ti raccontavo, data la sempre maggiore penuria di tempo, preferisco sessioni private di formazione con esperti in determinati campi. Cerco di condensare in queste finestre tutte le mie curiosità, sfide, dubbi. Indispensabile è altresì avere un meccanismo di gestione di un feed, selezionare delle newsletter valide e dei profili da seguire. In tal senso utilizzo molto Linkedin per tenermi aggiornato e per selezionare nuovi portali su cui informarmi.
Rispetto ai canali e la loro efficacia sarebbe davvero intellettualmente disonesto indicare l’uno o l’altro. Sappiamo tutti, o dovremmo, che oggi si inseriscono in un ecosistema molto complesso in cui è impossibile scindere fino in fondo il percorso del consumatore: basta osservarci dall’esterno, passiamo freneticamente da una ricerca su Google a uno scrolling compulsivo su Instagram, poi una capatina su LinkedIn e così via. Poi, tornando alla Semiotica, sempre il buon Umberto Eco diceva qualcosa del genere: “gli strumenti sono strumenti e come tali sono strumentalizzabili”.
E i canali sono per l’appunto strumenti. La mia preferenza personale tuttavia riguarda i canali che intercettano la domanda consapevole, SEO e SEA sulla rete di ricerca sono tendenzialmente i primi di cui vaglio la potenziale efficacia su un progetto poiché riescono in qualche modo a rispondere a un obiettivo a breve termine e uno di medio-lungo respiro, ma soprattutto riescono a farmi porre le domande giuste rispetto al business che sto approcciando, mi aiutano ad entrare in confidenza con i suoi target, a ricostruire dalle tracce palesi il pubblico di un brand».
6. Guardando al futuro, quali sono le sfide o le opportunità che pensi potranno emergere nel campo del digital marketing?
«Come addetti ai lavori, spesso sovrastimiamo la consapevolezza diffusa sul digital marketing. In realtà, in Italia ci sono ancora ampie possibilità di crescita, con molti settori che devono ancora sfruttarne appieno il potenziale, nonostante vi sia un crescente interesse. La domanda, a mio avviso, è destinata a crescere, anche grazie all’accelerazione esponenziale portata dall’intelligenza artificiale. Nessuno di noi può prevedere con precisione dove ci condurrà questa rapida evoluzione, che interesserà trasversalmente ogni settore.
La sfida principale sarà evitare di delegare troppo il pensiero critico e creativo all’AI, per non rischiare di perdere queste capacità. L’opportunità più grande risiede invece nell’affidare all’AI i compiti meccanici, liberando tempo per attività che richiedono creatività e ragionamento. Un altro aspetto positivo che ho sperimentato personalmente è l’uso dell’AI per colmare lacune di competenze. Ad esempio, ho recentemente affinato la mia capacità di valutare l’attendibilità di una survey, pur non avendo una formazione statistica, imparando nuovi concetti grazie all’AI».
7. Al momento, volevo chiederti se c’è qualcosa che ti appassiona particolarmente nel tuo lavoro attuale e che speri di approfondire o esplorare maggiormente nei prossimi anni?
«Per inclinazione personale me ne viene in mente una al giorno. Continua ad appassionarmi molto la SEO e sarò curioso di capire e approfondire come l’intelligenza artificiale cambierà ulteriormente lo scenario. Vorrei in tal senso migliorare nella automatizzare alcune task ripetitive che rubano tempo alla parte strategica, che trovo molto divertente. Ultimamente sto approfondendo anche la marketing automation, ma come ti dicevo da domani ce ne sarà un’altra perché, come da bambino, non riesco ancora a stare un attimo fermo».
8. Infine, un’ultima domanda: hai un motto o una frase motivazionale che ti ha accompagnato in questi anni?
«Non è nulla di estremamente originale, fino ai primi anni di università ero una persona incostante, il classico ragazzo di cui i professori dicevano “è intelligente ma non si applica”. Da un certo punto della vita in poi ho compreso la potenza della costanza, delle abitudini positive, in un certo senso della testardaggine, per cui ho fatto mio questo aforisma latino, che ogni tanto deve ricordarmi che: gutta cavat lapidem non bis sed saepe cadendo (la goccia scava la roccia cadendo non due volte ma continuamente). L’accezione originale era probabilmente negativa e si riferiva all’efficacia dannosa delle cattive azioni ripetute, ma a me stava simpatico Giordano Bruno che aggiungeva “sic homo fit sapiens bis non, sed saepe legendo” (così l’uomo diventa saggio leggendo non due volte ma spesso), e la cultura, in questo senso, non è mai dannosa».